giovedì, 25 Luglio 2024
La sentenza n. 96 del 2017 del Tribunale di Ivrea Sezione Lavoro emessa in data 30.03.2017 ha stabilito che vi può essere un nesso causale tra l’uso prolungato del telefono cellulare per fini professionali ed una patologia tumorale al cervello.
Ricostruiamo brevemente la vicenda oggetto della sentenza in esame.
Il ricorrente, un lavoratore subordinato, avanzava richiesta dinnanzi al Tribunale di Ivrea per veder riconosciuta l’esistenza di una malattia professionale che si sarebbe sviluppata a causa della prolungata esposizione alle emissioni del telefono cellulare, usato nello svolgimento delle mansioni a lui assegnate.
Nello specifico il lavoratore avrebbe utilizzato il telefono cellulare per interloquire con i tecnici dell’azienda per cui lavorava, per diverse ore al giorno per almeno 15 anni, senza avere in dotazione auricolari.
Accortosi di non sentire più da un orecchio, si sottoponeva ad approfondimenti diagnostici ed appurava che detti sintomi erano causati dalla presenza di un neurinoma, ossia di un tumore che gli occupava buona parte del lato destro del cervello (soggetto destrimane).
Il Giudice di primo grado, facendo propria la perizia del Consulente Tecnico d’Ufficio (c.d. CTU), che richiamava autorevoli studi internazionali, ha sostenuto che è ormai cosa nota che le radiofrequenze emesse da telefoni mobili siano cancerogene.
In particolare, sostenendo l’esistenza di un nesso causale tra la patologia sviluppatasi e l’utilizzo in maniera straordinariamente frequente del telefono cellulare, è stato stabilito che l’INAIL dovrà risarcire l’ex dipendente ammalatosi di neurinoma ed è strato quantificato un danno biologico permanente di 23 punti percentuali.
Con questa pronuncia, in buona sostanza, per la prima volta è stato riconosciuto l’effetto cancerogeno delle onde elettromagnetiche dei cellulari.
Una sentenza di contenuto simile era stata pronunciata già nel dicembre 2009 dalla Corte D’Appello di Brescia che aveva appurato che l’utilizzo del cellulare era stata una concausa per il palesarsi della malattia oncologica.
Anche nel caso da ultimo richiamato era stato condannato l’INAIL a corrispondere la rendita all’ex dipendente e successivamente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17438 del 12 ottobre 2012ha confermato il principio enunciato dal Giudice di prime cure.
Si coglie l’occasione per ricordare che per malattia professionale si intende una patologia che si sviluppa, nello svolgimento dell’attività lavorativa, a causa del contatto con materiali o fattori nocivi.
La legge individua un elenco tassativo di malattie professionali contratte nell’ambito di determinate lavorazioni elencate in una tabella, nel caso pertanto di manifestazioni di dette malattie si ha una presunzione legale dell’origine professionale. In detta ipotesi il lavoratore deve provare solamente lo svolgimento di mansioni rientranti nell’ambito delle lavorazioni c.d. tabellate e l’esistenza di una malattia inserita in elenco.
Nel caso, invece, di malattie non indicate in tabella, ovvero indicate con la loro denominazione scientifica ma causate da attività lavorative non incluse nella tabella stessa, il lavoratore deve dimostrare:
Le ultime pronunce giurisprudenziali in materia, compresa la sentenza in esame e la Cassazione n. 17438 del 2012, riconoscono che il nesso di causalità può ravvisarsi anche in presenza di un elevato grado di probabilità derivante da elementi oggettivi.
La giurisprudenza prevalente, peraltro, ritiene che il giudice che accoglie le conclusioni del Consulente Tecnico d’Ufficio non è obbligato ad una minuziosa illustrazione delle stesse, né deve confutare le argomentazioni contrarie delle parti (Cass. n. 20220 del 2010).
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